mercoledì 21 marzo 2012

Down, una vita come gli altri

Ancora pregiudizi da superare. L’esperienza d’integrazione
al laboratorio d’arte degli «Amici» di Sant’Egidio
ROMA - Raffaella, 45 anni, ha svolto un tirocinio come bidella in una scuola, ma poi non è stata assunta. Alessia, 31 anni, anche lei diplomata, l’anno scorso ha frequentato un corso per diventare estetista, ha fatto lo stage ma ora sta a casa. Entrambe vorrebbero un’occupazione vera, perché l’integrazione nella società passa anche attraverso il lavoro. Ancora oggi, però, le persone con sindrome di Down, più di 38 mila nel nostro Paese, devono fare i conti con pregiudizi e luoghi comuni. Per tentare di superare l’ostacolo della “diversità” sensibilizzando l’opinione pubblica, il 21 marzo si celebra in tutto il mondo la Giornata sulla sindrome di Down, istituita ufficialmente quest’anno dalle Nazioni Unite.

DATA NON CASUALE - La scelta della data non è casuale: la sindrome, infatti, è dovuta a un’anomalia genetica, un cromosoma in più – tre invece di due - nella coppia n. 21. In occasione della giornata mondiale, punta su un messaggio di normalità l’iniziativa promossa dal Coordinamento nazionale delle associazioni CoorDown, in collaborazione con altri partner. Delle campagne pubblicitarie di alcuni marchi nazionali e internazionali, è stata realizzata una versione alternativa: un attore dello spot originale o della campagna stampa, è sostituito da un attore con sindrome di Down.

ESEMPIO NORMALE - «Sul tema dell’inclusione c’è ancora molto da fare, soprattutto in ambito lavorativo e scolastico, a partire dai pregiudizi delle persone - sottolinea Sergio Silvestre, coordinatore nazionale di CoorDown - . Le persone con sindrome di Down hanno il diritto di esprimere le loro capacità e di avere le stesse opportunità di chiunque altro, invece troppo spesso sono considerati diversi e incapaci di condurre una vita autonoma. Questa campagna è un esempio eccezionale, ma speriamo che possa diventare l’esempio normale ogni giorno».

INTEGRAZIONE REALE - L’integrazione è possibile non solo negli spot, ma anche nella vita reale. Essere differenti è davvero normale, per esempio, nei laboratori d’arte avviati vent’anni fa dagli «Amici» della Comunità di Sant’Egidio in diversi quartieri di Roma e oggi presenti anche in altre città italiane, come Padova, Napoli, Genova, Novara. Luoghi di incontro tra chi ha una disabilità mentale o fisica, dove non esistono operatori e utenti ma solo il piacere di incontrare amici, senza limiti. Spazi dove si consultano cataloghi e libri d’arte, si comunica, ciascuno a modo suo, si creano opere su un tema - come l’Unità d’Italia o la crisi - deciso insieme e discusso in gruppi. In uno di questi laboratori, alla periferia di Ostia, ogni lunedì pomeriggio si ritrovano Raffaella, Alessia e tanti altri con sindrome di Down o altre disabilità mentali e no, insieme ai volontari della Comunità di Sant’Egidio e a qualche familiare. Indossano grembiuli e guanti e non vedono l’ora di cominciare.

ESPRIMERSI LIBERAMENTE - Una parola che non vuole uscire, allora si butta giù uno schizzo o un disegno. Chi usa il colore, chi lavora con matite, chi utilizza i pennelli per stendere l’acquarello, chi spruzza il colore da un contenitore con aria compressa che permette, dalla carrozzina, di imbrattare la tela. C’è chi riproduce dipinti, chi scrive un testo, chi fa composizioni astratte seguendo liberamente la sua fantasia, il proprio pensiero o il suo sguardo sul mondo. Raffaella avrebbe voluto continuare a fare la bidella e nella sua tela «Tutti in classe» ha assemblato campanella e auricolare. «Mi piaceva molto – racconta - , mi alzavo ogni giorno alle 6 per arrivare puntuale a scuola, ma non sono stata assunta». Ma è determinata nella ricerca di un altro lavoro: «Ora sto seguendo un corso per diventare estetista». …

COL PROPRIO RITMO - Alessia dipinge utilizzando parole, come «Ascolto», ripetuta senza interruzione fino a occupare tutto lo spazio del quadro. Un appello, il suo, a prendere sul serio chi ha una disabilità mentale. «Spesso le persone parlano, ma non ascoltano», dice. Al laboratorio, invece, ciascuno segue il proprio ritmo. Qui l’essere lenti non è vissuto come un “ritardo” ma come un valore. Settimana dopo settimana gli amici si confrontano e aggiungono un nuovo tassello, un’idea, un colore. Fino a creare anche opere d’arte, come quelle esposte a gennaio in una mostra al Quirinale, «Tavolo Italia», un omaggio ai 150 anni dell’Unità. Finita la mostra, ora in giro per il Paese, le opere potranno essere vendute e il ricavato sarà destinato al programma per la cura dei malati di Aids in Africa. Gli amici si aiutano l’un l’altro.

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